Il potere esercitato dall’amministrazione di recedere si configura come esercizio di una potestà privatistica
Una volta perfezionato il contratto, nel quale è stata pattuita e accettata la clausola del...
Una volta perfezionato il contratto, nel quale è stata pattuita e accettata la clausola del...
L’esercizio della facoltà di recesso da parte del committente privato (all’art. 1671, Codice civile), traslata nell’ambito delle commesse pubbliche e riferita al committente pubblico, non cambia la natura del presupposto alla base del recesso, che si sostanzia, in entrambi i casi, in una rinnovata valutazione di opportunità a cui il legislatore connette la facoltà di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale.
Ed è noto che secondo l’indirizzo fatto proprio da questo Consiglio di Stato in composizione plenaria “Le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006 [oggi art. 109 del d. lgs. n. 150/2016]” (Cons. Stato, Ad. Plen., 20/06/2014, n. 14).
Il fatto che, per il committente pubblico, la valutazione di opportunità a monte del recesso sia ontologicamente legata dalla cura dell’interesse pubblico, non consente infatti di ricostruire in termini pubblicistici detta valutazione in modo da riqualificare come interesse legittimo la situazione soggettiva riconducibile al privato che ne viene eventualmente leso. Tale situazione, in un contesto contrattuale nel quale è azionato il diritto potestativo di recedere dall’appalto, mantiene la sua declinazione privatistica.
Per quanto suggestivo, il tentativo di aprire un varco al controllo giurisdizionale del giudice amministrativo sulle ragioni di opportunità che determinano il recesso passando per una ricostruzione in termini...
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