Nella previdenza complementare, stesse regole per pubblici e privati
Con sentenza n. 218, depositata il 3 ottobre 2019, la Corte costituzionale ha stabilito come sia da...
Nella previdenza complementare, stesse regole per pubblici e privati
Viola il principio di uguaglianza tributaria la differente tassazione, tra le due tipologie di dipendenti, del riscatto della posizione individuale maturata nei fondi pensione negoziali
07 Novembre 2019
La controversia oggetto di esame da parte della Corte nasce dal rifiuto tacito opposto dall’Agenzia delle entrate a una istanza di rimborso dell’Irpef e delle addizionali comunale e regionale per l’anno d’imposta 2014 presentata da un contribuente che riteneva di aver versato maggiori imposte rispetto al dovuto. In particolare, secondo le motivazioni illustrate dall’istante, l’ammontare delle somme percepite a titolo di riscatto dal Fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori della scuola, subendo una ritenuta alla fonte in base a una tassazione ordinaria, e facendo cumulo col reddito complessivo prodotto, avrebbe impedito al contribuente di usufruire della più favorevole tassazione prevista dalla disciplina delle forme pensionistiche complementari di cui al Dlgs. n. 252/2005.
A seguito di ricorso proposto da parte del contribuente, il giudice della Commissione tributaria provinciale ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione alle norme che hanno fondato la tassazione ordinaria delle somme riscattate, e in particolare l’articolo 23, comma 6, del Dlgs. n. 252/2005, concernente la “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”, e l’articolo 52, comma 2, lettera d-ter), del Tuir. Il combinato disposto di tali previsioni, infatti, escluderebbe l’applicazione al rapporto di lavoro pubblico del regime fiscale più favorevole introdotto dallo stesso decreto legislativo, creando due regimi impositivi e una disparità di trattamento costituzionalmente rilevante.
La previdenza complementare e il trattamento fiscale agevolato
Secondo i giudici di legittimità la ricostruzione del quadro normativo della previdenza complementare consente di poter valutare, per il caso di specie, se siano presenti nel sistema elementi in grado di giustificare ragionevolmente una disomogeneità del trattamento fiscale agevolativo.
L’introduzione da parte del legislatore di forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti pensionistici che siano complementari al sistema obbligatorio aveva, come obiettivo primario, quello di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale.
La relativa disciplina è stata prevista in maniera organica dapprima dal Dlgs. n. 124/1993 e poi, giusta delega rilasciata al Governo dalla legge n. 243/2004, è stata riformata dal Dlgs. n. 252 del 2005, che oggi regola la materia.
Tra i destinatari della disciplina vi sono in primo luogo i lavoratori dipendenti, sia privati, sia pubblici. In merito a questi ultimi la legge delega n. 243/2004 ha in particolare previsto che i principi e i criteri direttivi enunciati per favorire le forme di previdenza complementare debbano essere applicati, con le necessarie armonizzazioni, anche al rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, tenendo conto delle specificità dei singoli settori e dell’interesse pubblico connesso all’organizzazione del lavoro e all’esigenza di efficienza dell’apparato amministrativo pubblico (lettera p), articolo 1, comma 2, della legge n. 243/2004).
La riforma dell’intera disciplina, attuata dal legislatore con il Dlgs. n. 252/2005, è entrata in vigore dal 1° gennaio 2007 e ha previsto importanti incentivi tributari, sia per quanto riguarda la contribuzione che la tassazione delle prestazioni erogate, brevemente riassunti nei seguenti punti:
- deducibilità fino a 5.164,57 euro dal reddito complessivo dichiarato ai fini Irpef dei contributi versati da parte sia del lavoratore che del datore di lavoro
- non tassabilità, nella fase di liquidazione della prestazione erogata al lavoratore, della quota di contributo previdenziale non dedotta dal reddito in fase di accumulo, per mancanza di capienza nel reddito dichiarato o perché eccedente la soglia massima ammissibile di 5.164,57 euro (cosiddetto principio di “correlazione fiscale”)
- tassazione del rendimento, laddove previsto, sulla prestazione ricevuta dal fondo con una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dell’11%
- tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate al lavoratore, sia in forma di capitale che di rendita, limitatamente alla parte non tassata durante la fase di accumulo, con una ritenuta a titolo d’imposta pari al 15%, e riduzione di detta aliquota dello 0,30% per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali
- tassazione del riscatto della prestazione contributiva complementare con la medesima tassazione di cui al punto precedente, qualora il riscatto sia esercitato ai sensi dell’articolo 14, commi 2 e 3, del Dlgs. n. 252/2005, e con ritenuta a titolo d’imposta del 23% nelle altre ipotesi di riscatto.
È in relazione a tale ultimo punto che la Corte costituzionale si è soffermata, riguardando la questione oggetto di valutazione proprio il riscatto volontario della posizione individuale da parte di un dipendente pubblico.
La disciplina tributaria previgente, prevista dal Dlgs. n. 124/1993, sanciva per il riscatto della posizione individuale l’assimilazione al reddito di lavoro dipendente, così come in via generale per tutte le prestazioni pensionistiche.
Con la riforma il trattamento fiscale del riscatto viene disciplinato in maniera specifica dall’articolo 14, commi 4 e 5, e dall’articolo 11, comma 6, del Dlgs. n. 252/2005 e non più genericamente fatto ricomprendere nelle disposizioni del Tuir.
Il nuovo regime impositivo prevede che...