19 Marzo 2020
Secondo la pacifica giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato , sez. IV, 10/10/2018 , n. 5820), l'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico costituisce una presunzione di pubblicità dell'uso, superabile soltanto con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù. In tal senso, l'insistenza di segnaletica stradale e illuminazione pubblica, la percorrenza di linee pubbliche urbane, la funzione di raccordo con altre strade e lo sbocco su piazza e su pubbliche vie sono tutti elementi univoci per il riconoscimento della qualità di strada comunale all'interno degli abitati ai sensi dell'art. 7, lett. c), l. n. 126 del 1958.
Tale orientamento è coerente con il principio secondo il quale l’istituto della “dicatio ad patriam” è notoriamente connotato da elementi di fatto che denotino un comportamento del proprietario di un bene che lo mette in modo univoco a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione (cfr. Cassazione civile sez. II 21 febbraio 2017 n. 4416; v. anche Consiglio di Stato sez. V 16 gennaio 2017 n. 97; T.A.R. Lazio, sez. II 12 luglio 2016 n. 7967; Cass. Civ., Sez. II, 12 agosto 2002, n. 12167, nonché Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 2007, n. 2618 e 28 giugno 2004, n. 4778).
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