Il fallimento della societa' pubblica e' sanzionato con l'obbligo per l'ente locale di ricorrere al mercato (nella recente sentenza della corte dei conti sicilia 20.09.2017 n.143/par)
La Corte dei Conti Sicilia con il parere 143 del 20 settembre 2017 riprende la disciplina...
Il fallimento della societa' pubblica e' sanzionato con l'obbligo per l'ente locale di ricorrere al mercato (nella recente sentenza della corte dei conti sicilia 20.09.2017 n.143/par)
11 Ottobre 2017
La Corte dei Conti Sicilia con il parere 143 del 20 settembre 2017 riprende la disciplina dell'articolo 14 del Tusp, che ha sancito la fallibilità delle società a partecipazione pubblica , comprese le società in house ed in particolare la disciplina del comma 6 del medesimo articolo, che prevede la sanzione per l'ente locale di ricorrere al mercato in caso di fallimento di una propria partecipata, in quanto testimonianza dell'insuccesso della formula societaria quale modulo organizzatorio di intervento diretto dell'ente locale come “imprenditore pubblico”
______________________________________________________________________
Il Decreto legislativo n.175 del 2016, all'articolo 14, prevede che “ Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.”
La norma stabilisce l’assoggettamento delle società a partecipazione pubblica alle procedure concorsuali a prescindere dalla natura delle stesse, non prevedendo, quindi, un regime differenziato per le società in house providing che per questo motivo, ove ne ricorrano i presupposti stabiliti dalla legge potranno essere assoggettate anche alla normativa in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese.
Come già avuto modo di esporre anche in un precedente articolo pubblicato su questa rivista nel mese di febbraio, il Tusp, con la disposizione sopra esaminata, ha avuto il merito di spazzare via i dubbi in merito all'assoggettabilità o meno al fallimento delle società pubbliche ed in particolare di quelle in house .
La stessa Corte di Cassazione n. 3196 del 7 febbraio u.s. si è pronunciata sulla fallibilità delle società in house affermando che “ Il profilo pubblicistico della societa' in house, in cui l'ente pubblico esercita sulla societa' un controllo analogo, quantomeno per prerogative ed intensita', a quello esercitato sui propri servizi ed uffici, appare allora ispirato - in realta' - dal mero obiettivo di eccettuare l'affidamento diretto (della gestione di attivita' e servizi pubblici a societa' partecipate) alle citate norme concorrenziali, ma senza che possa dirsi nato, ad ogni effetto e verso i terzi, un soggetto sovraqualificato rispetto al tipo societario eventualmente assunto.”
Della stessa opinione anche la Cassazione penale “il fallimento delle società pubbliche, cui sia affidata l’erogazione di servizi pubblici, non presenterebbe alcuna interferenza con la titolarità del servizio, perché, anche quando la società partecipata gestisce un servizio pubblico, non è mai titolare di quel servizio, ma semplice affidataria ad opera dell’ente pubblico socio affidante e, pertanto, l’applicazione dello statuto dell’imprenditore, ivi compresa la dichiarazione di fallimento, non determina alcuna ingerenza dell’autorità giudiziaria nell’attività della pubblica amministrazione né impedisce l’esecuzione di un servizio necessario alla collettività” (Cass. Pen n. 234/2011).
La ratio sottesa alla suddetta disposizione è anche rappresentata dall'esigenza di tutelare i creditori, poiché “l’esenzione dalle procedure concorsuali di tali Società pregiudicherebbe sia l’interesse dei creditori, sia l’interesse pubblico, sia (potenzialmente) l’interesse della stessa Società” (in questo senso, Tribunale Napoli – Sezione VII – 31 ottobre 2012). La sottrazione ai creditori del rimedio dell’esecuzione concorsuale e la possibilità di ottenere la tutela dei propri interessi mediante il ricorso alla sola esecuzione individuale, lederebbe infatti i principi della par condicio creditorum, ritenuto principio cardine da applicare nei casi di soggetti insolventi. In ogni caso i creditori possono comunque agire diversamente per recuperare il “quantum” vantato. Il creditore, infatti, può sottrarsi al rischio di insolvenza del debitore assicurandosi il soddisfacimento del proprio credito attraverso le forme di tutela cosiddette “ordinarie” offerte dal nostro ordinamento, e quindi, ricorrendo ad esmpio allo strumento del Decreto ingiuntivo o ad altre forme di tutela del credito.
La norma al secondo comma prevede che, nei casi in cui si palesino,nell’ambito dei programmi di valutazione del rischio aziendale, uno o più fattori indicatori della crisi, l’organo amministrativo della società è chiamato ad adottare, senza indugio, tutti i provvedimenti che risultino necessari a prevenire l’aggravamento della stessa crisi, al fine, inoltre, di correggere gli effetti stessa eliminando le causa attraverso un adeguato piano di risanamento.
Il terzo comma dispone che nei casi in cui si vengano a determinare ipotesi che possano portare a fallimento, concordato preventivo o amministrazione controllata, la mancata adozione dei provvedimenti ritenuti idonei da parte dell’organo amministrativo, costituisce un’ipotesi di irregolarità suscettibile di essere denunciata ai sensi dell’articolo 2409 del codice civile. Quest'ultimo rappresenta un rimedio endo societario in virtù del disposto dell’art. 13 TUSP,che supera le differenze tipologiche tra s.p.a. e s.r.l. ed elimina la soglia di partecipazione condizionante la legittimazione a ricorrere, relativamente agli enti pubblici soci.
Il quarto comma afferma che non può essere considerato provvedimento adeguato la previsione di rientro delle perdite da parte del soggetto pubblico socio, a meno che tale ripianamento sia accompagnato da un planning di ristrutturazione aziendale dal quale si rinvengano reali prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività svolte dalla stessa società
Il comma 5, pertanto,dispone che le amministrazioni inserite nell’elenco Istat ex art. 1 comma 3 della legge n. 196/0930, non possano, salvi i casi previsti dagli articoli 2447 c.c. e 2482 ter c.c.31, prevedere aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito e rilasciare garanzie in favore di altre società partecipate, a meno che non si tratti di società quotate ed istituti di credito che abbiano riportato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio o che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali.
La norma al contempo consente possibili trasferimenti straordinari alle società a...