LA FALLIBILITA' DELLE SOCIETA' A PARTECIPAZIONE PUBBLICA: L'ARTICOLO 14 DEL T.U. D.LGS.175/2016 E LA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE N.3196 DEL 7/2/2017. a cura della Dott.ssa Paola Pierini
A seguito dell‘entrata in vigore del D.Lgs 175/2016 la tesi della fallibilità delle società...
LA FALLIBILITA' DELLE SOCIETA' A PARTECIPAZIONE PUBBLICA: L'ARTICOLO 14 DEL T.U. D.LGS.175/2016 E LA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE N.3196 DEL 7/2/2017. a cura della Dott.ssa Paola Pierini
14 Febbraio 2017
A seguito dell‘entrata in vigore del D.Lgs 175/2016 la tesi della fallibilità delle società a partecipazione pubblica, basata sulla natura soggettiva, in quanto non configuranti una tipologia a sé stante di società rispetto a quelle disciplinate dal codice civile, ha prevalso sulle tesi di carattere sostanziale1 , che partendo dall’analisi delle caratteristiche e delle modalità con cui veniva svolta l’attività, escludeva la qualifica di imprenditore commerciale della società pubblica e quindi la conseguente possibilità di fallire.La vera novità è rappresentata dal fatto che la disposizione legislativa spazza via i dubbi che avevano animato il dibattito giurisprudenziale sul caso particolare delle società in house, che in virtù del particolare tipo di controllo a cui sono assoggettate non sembrano, invece, in grado di collocarsi come un‘entità posta al di fuori dell‘ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna.
____________________________________________________________________________ La Corte di Cassazione n. 3196 del 7 febbraio u.s. si pronuncia sulla fallibilità delle società a partecipazione pubblica ripercorrendo le principali pronunce che si sono susseguite negli anni a favore della cosiddetta tesi formale,che si basa sulla natura soggettiva della società pubblica, come società, comunque, di diritto privato e come tale soggetta a fallimento.
In base alla tesi formale,come già argomentato in un mio precedente articolo2, basata sulla qualificazione giuridica, la giurisprudenza (per tutte, Cass. S.U. n. 7799/05) afferma che una società non muta la sua natura di soggetto privato anche se il suo capitale è detenuto in tutto o in parte da uno o più enti pubblici. “Il rapporto tra società ed ente pubblico è di assoluta autonomia, posto che l‘ente può incidere sul funzionamento e sull‘attività della società non già attraverso l‘esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare per mezzo dei componenti degli organi sociali di sua nomina (Cass.sez. I, 27/9/2013 n. 22209). La qualifica di soci pubblici non determina di per sé che la società sia assoggettata alla disciplina pubblicistica. Le società cosiddette “pubbliche”sono disciplinate dal codice civile. Si aggiunge, inoltre, l’importante contributo della Cassazione che afferma che “Ciò che rileva nel nostro ordinamento, ai fini dell’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale, non è il tipo di attività esercitata, ma la natura del soggetto: se così non fosse si dovrebbe giungere alla conclusione che anche le società a capitale interamente privato, cui sia affidata la gestione di un servizio pubblico ritenuto essenziale, sarebbero esentate dal fallimento”. (Cass. SS. UU. 25. 11. 2013 n. 26283) .La qualifica di imprenditore commerciale per una società viene acquisita al momento della sua costituzione, con l’indicazione nello statuto dell’attività commerciale (attività lucrativa) che si andrà a svolgere. Secondo questo orientamento la società pubblica non è un tipo speciale di società , ma pur sempre una società di diritto comune in cui ad essere pubblico è il socio e non la società”
Il Decreto legislativo n.175 del 2016, all‘articolo 14, con disposizione che prende atto dell‘indirizzo giurisprudenziale , ha infine precisato che “ Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.”
La vera novità è rappresentata dal fatto che la suddetta tesi formale basata sulla natura soggettiva della società vale per tutte le partecipate quindi anche per le controllate e per quelle cosiddette in house, rispetto alle quali il concetto è implicitamente ribadito anche dal comma 6 del medesimo articolo 14 , dove è stato introdotto un limite per le amministrazioni socie ad operare nel settore della fallita : “Nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita”
La stessa pronuncia della Cassazione (3196/2017), in merito alle “in house” afferma che “ Il profilo pubblicistico della societa‘ in house, in cui l‘ente pubblico esercita sulla societa‘ un controllo analogo, quantomeno per prerogative ed intensita‘, a quello esercitato sui propri servizi ed uffici, appare allora ispirato - in realta‘ - dal mero obiettivo di eccettuare l‘affidamento diretto (della gestione di attivita‘ e servizi pubblici a societa‘ partecipate) alle citate norme concorrenziali, ma senza che possa dirsi nato, ad ogni effetto e verso i terzi, un soggetto sovraqualificato rispetto al tipo societario eventualmente assunto.”
La Cassazione afferma che il fatto che le società in house si configurino come un‘articolazione organizzattiva dell‘ente, ciò non determina come effetto di perdere l‘applicazione dello statuto dell‘imprenditore, ma determina una resposabilità aggiuntiva -di tipo contabile- rispetto a quella di diritto comune.
La Corte afferma, inoltre, che “ Le norme speciali volte a regolare la costituzione della societa‘, la partecipazione pubblica al suo capitale e la designazione dei suoi organi, non possono dunque incidere - come parimenti notato in dottrina - sul modo in cui essa opera nel mercato, ne‘ possono comportare il venir meno delle ragioni di tutela dell‘affidamento di terzi contraenti contemplate dalla disciplina civilistica”3.