UNAA - Dieci regole per l’affidamento degli incarichi legali
sintesi della disciplina attuale dell’affidamento degli incarichi legali
UNAA - Dieci regole per l’affidamento degli incarichi legali
sintesi della disciplina attuale dell’affidamento degli incarichi legali
27 Febbraio 2020
Con il presente documento l’Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti intende proporre una sintesi della disciplina attuale dell’affidamento degli incarichi legali, redatta attraverso poche indicazioni, semplici e operative, che possano essere seguite dalle P.A.
1. Un’amministrazione deve, prima di tutto, decidere se vuole affidare un appalto o un incarico di difesa o assistenza, perché sono due cose diverse.
La distinzione tra incarico legale e appalto di servizi legali è fondamentale.
Un inquadramento dei due concetti è stato dato dalla ormai “storica” – ma tuttora attuale – sentenza del Consiglio di Stato, V Sezione, 2730 dell’11.5.2012. Perché ci sia un appalto, deve esserci un “quid pluris” rispetto a un singolo incarico di patrocinio o di assistenza. Insomma: è appalto quando ha ad oggetto un servizio legale prestato per un determinato arco temporale e per un determinato corrispettivo. E il “quid pluris” sta nel fatto che la prestazione di patrocinio o di assistenza si inserisce in un quadro più ampio, divenendo modalità di un servizio più complesso e articolato da prestare all’amministrazione.
La distinzione tracciata dalla sentenza 2730 cit. risulta ancora più netta dopo il decreto legislativo 50 del 2016: gli appalti di servizi legali sono quelli di cui all’allegato IX del nuovo codice, mentre i servizi legali individuati all’art. 17, lett. d) sono espressamente esclusi dal codice.
A chiarire tale distinzione alla stregua del nuovo codice è soprattutto il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato numero 2017 del 3.8.2018 (che sul punto non presenta sostanziali differenze rispetto alla precedente sentenza del Consiglio di Stato 2730 del 2012).
Sono due modelli contrattuali diversi, dunque. E l’amministrazione può avere necessità di ricorrere all’uno o all’altro dei due. Se un’amministrazione decide di dar corso ad un appalto di servizi legali, è perché le sue esigenze lo giustificano. Perché, ad esempio, intende affidare l’intero contenzioso di suo interesse per una durata predeterminata.
Tali conclusioni sono espressamente condivise anche dalle linee guida 12 del 2018 dell’ANAC, che confermano come l’incarico legale affidato per un’esigenza puntuale ed episodica costituisca un contratto d’opera intellettuale e non un appalto.
E’ dunque necessario muovere da una domanda di base: che cosa cerca l’amministrazione? Un avvocato cui dare un singolo incarico, o un appaltatore di servizi legali?
2. Per dare un incarico legale, un’amministrazione può fare una gara oppure no: dipende da ciò che in concreto ritiene opportuno.
Il punto più problematico è questo: se esista o no un obbligo di fare una “gara” – genericamente intesa, ricomprendendovi ogni confronto comparativo – quando si affida un singolo incarico legale, al di fuori dei casi di appalto.
La possibilità dell’affidamento diretto a un determinato professionista è ammessa dalle linee guida 12/2018 dell’ANAC “solo in presenza di specifiche ragioni logico-motivazionali che devono essere espressamente illustrate dalla stazione appaltante nella determina a contrarre.”
Tali affermazioni dell’ANAC derivano da un presupposto: l’applicabilità dei generali principi posti dall’articolo 4 del codice dei contratti pubblici anche ai servizi legali esclusi di cui all’articolo 17 lett. d). E’ dai principi dell’articolo 4 che l’ANAC pretende di “declinare” tutta una serie di indicazioni e regole per l’affidamento degli incarichi legali.
Non si intende qui esaminare la correttezza di tale impostazione. Si intende guardare ai materiali normativi e giurisprudenziali disponibili e fondare su di essi alcune indicazioni operative alle amministrazioni.
E’ in questa prospettiva che si delinea una conclusione precisa: la possibilità di non procedere a una “gara” per l’affidamento di incarichi legali è una possibilità ordinaria.
Fare una “gara” tra legali è sempre difficile. E sono numerose le ipotesi in cui farlo diventa estremamente difficile o finanche impossibile. La questione è già chiaramente espressa nella sentenza del Consiglio di Stato 2730 del 2012: l’iter del giudizio è aleatorio, gli aspetti delle prestazioni da fornire non sono predeterminabili, mancano insomma le basi oggettive per fissare i criteri di valutazione necessari.
Inoltre, come pure rileva la sentenza, l’attività del professionista si colloca in un contesto che è quello dell’amministrazione della giustizia, al di fuori del campo regolato dai contratti pubblici.
Le questioni sollevate non sono evidentemente legate al codice previgente.
E la definitiva conferma della loro rilevanza si ha con la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 6 giugno 2019 (C 264/2018). Definitiva sia per la chiarezza dei contenuti, sia perché le sentenze interpretative della Corte di Giustizia hanno una portata generale e prevalente sulle disposizioni incompatibili degli ordinamenti interni.
Afferma la Corte che gli incarichi legali sono esclusi dalla normativa appaltistica generale – ai sensi dell’art. 10, lettera d), I e II) della direttiva 24/2014, corrispondente alle ipotesi dell’articolo 17 d) del codice dei contratti pubblici – in quanto diversi da ogni altro contratto, perché le relative prestazioni possono essere rese “solo nell’ambito di un rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla massima riservatezza“.
All’intuitus personae la Corte ricollega la libera scelta del difensore e la fiducia tra cliente e avvocato, e ne ricava la difficoltà di descrivere oggettivamente le qualità attese dal legale incaricato.
E alla riservatezza nel rapporto tra avvocato e cliente la Corte ricollega la salvaguardia del pieno esercizio dei diritti di difesa e la possibilità di rivolgersi con piena libertà al proprio avvocato, che potrebbe essere minacciata dal dover precisare le condizioni di attribuzione dell’incarico.
E poi, rileva la Corte, c’è un ulteriore profilo. I servizi legali possono partecipare, “direttamente o indirettamente, all’esercizio di pubblici poteri e alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela di interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche“: ciò che pure li rende incomparabili con ogni altro servizio.
Insomma: molti sono i profili in gioco e i valori coinvolti.
Naturalmente, un’amministrazione ben può fare una “gara” – nel senso di comparare tra loro più professionisti per individuare il soggetto da incaricare – se ritiene che vi siano ragioni e condizioni che rendano opportuno farla (e se ritiene che – nella fattispecie concreta – il modo in cui concretamente viene effettuata la comparazione non leda alcuno dei valori ora ricordati).
3. Deve esserci in ogni caso la reciproca fiducia.
E’ un rapporto speciale, quello tra avvocato e cliente, anche quando il cliente è una pubblica amministrazione. E la fiducia è, semplicemente, il fondamento di questo rapporto. Se viene meno la fiducia, viene meno il rapporto. Il che vuol dire che se la fiducia manca sin dall’inizio, allora quel rapporto non deve neppure sorgere.
Non è facile descrivere oggettivamente cosa sia la fiducia. Ancor meno facile è dire come si configuri la fiducia (e tra chi debba intercorrere) quando il rapporto sia con un soggetto collettivo caratterizzato da precise regole del suo operare, qual è un ente pubblico. E in realtà non tutti i contenziosi e le vertenze in cui un’amministrazione si ritrovi coinvolta hanno bisogno dello stesso grado di fiducia. Ma il sistema non può ignorare che quello è il fondamento del rapporto.
L’esistenza della fiducia non richiede, da parte dell’amministrazione che conferisce un incarico, una motivazione specifica fondata su criteri oggettivi; ma certo la fiducia non può essere in contrasto con dati oggettivi. Non può cioè giustificare delle scelte irragionevoli.
Anche la scelta del legale effettuata con gara non può prescindere dalla fiducia.
Ed è giustificato che un’amministrazione cambi il proprio avvocato se ciò avvenga quale conseguenza del venir meno di un’effettiva “sintonia” o di carattere generale o sulla specifica vertenza.
4. Anche se non viene fatta una gara, vanno rispettati i principi dell’azione amministrativa.
Un’amministrazione deve comunque rispettare i principi generali dell’azione amministrativa, cioè quelli dell’articolo 1 della legge 241, e rendere le sue scelte verificabili sotto il profilo della congruità.
Un simile obbligo finisce quasi per privare di rilievo pratico la questione dell’applicabilità o meno dei principi di cui all’articolo 4 del codice dei contratti pubblici, che sono in larga parte coincidenti con quelli dell’articolo 1 della legge 241.
Insomma, è necessaria un’attività amministrativa procedimentalizzata, come si afferma nel parere del Consiglio di Stato 2017/2018. Ciò si concreta – anche in mancanza di un confronto comparativo tra più legali – nell’acquisizione del curriculum del professionista per verificarne la pertinenza e l’adeguatezza all’incarico da conferire, nella verifica che non vi siano incompatibilità, nell’acquisizione e nella valutazione del preventivo.
5. Se viene fatta una gara, è una gara.
Il convincimento diffuso di dover comunque “fare una gara” – anche soltanto nella forma dell’acquisizione di più preventivi – spinge talvolta le amministrazioni a contattare i legali con modalità e approcci che paiono finalizzati a una scelta predeterminata.
In modi altrettanto discutibili possono svolgersi poi anche le gare vere e proprie, caratterizzate talora dalla prefissazione di criteri “sartoriali”, da valutazioni dei curricula palesemente ingiustificate, da procedure interrotte senza ragione, da graduatorie mai rese disponibili.
La commistione tra volontà di...