Colloqui senza volumi nell'area della tutela minori: generare apprendimento comunicando a distanza
attraverso il colloquio si costruisce la relazione sulla quale si poggia il processo d'aiuto
Colloqui senza volumi nell'area della tutela minori: generare apprendimento comunicando a distanza
a cura di Diana Vitali
24 Novembre 2020
“Ciò che tutti apparentemente temiamo, affetti da depressione da dipendenza o no, in piena luce del giorno o tormentati da allucinazioni notturne, è l'abbandono, l'esclusione, l'essere respinti, banditi, ripudiati, abbandonati, spogliati di ciò che siamo, il vederci rifiutare ciò che vogliamo essere. Temiamo che ci vengano negati compagnia, amore, aiuto. Temiamo di venir gettati tra i rifiuti” (Zygmunt Bauman).
Nella pratica quotidiana dell'assistente sociale il colloquio è lo strumento dominante: attraverso il colloquio si costruisce la relazione sulla quale si poggia il processo d'aiuto. La modalità con cui l'assistente sociale si muove all'interno di questo spazio relazionale contribuisce a creare un aggancio, a raggiungere una condivisione degli obiettivi, a superare momenti critici, ad utilizzare propriamente e nel rispetto dell'altro la relazione “up”, determinata dal ruolo che conferisce al professionista la responsabilità del processo. Il colloquio sociale è complesso, spesso imprevedibile poiché basato sull'interazione con l'altro che ha uno spazio emozionale e discrezionale.
L'emergenza sanitaria ha imposto a noi, operatori dell'aiuto, di aumentare la distanza fisica dai cittadini e dalle famiglie in carico: nel documento “I Servizi Sociali al tempo del Coronavirus. Pratiche in corso nei Comuni Italiani” del 7 luglio 2020, si legge come in molte Regioni gli operatori dei servizi abbiano creato e mantenuto i contatti con i cittadini attraverso telefonate e videochiamate whatsapp: occorre allora riadattare modi e tempi del colloquio al nuovo setting, riconoscendo le possibili limitazioni, ma provando anche a scorgere delle opportunità.
A cosa rinunciamo effettuando i colloqui da remoto? E quali possono essere le nuove sfide e le conquiste nella relazione con i genitori o con i ragazzi che si gioca in uno spazio virtuale, rinunciando al volume dei corpi? Come dunque poter cogliere la sfida di piegare a vantaggio del processo d'aiuto i cambiamenti prodotti dall'emergenza sanitaria in termini di comunicazione e colloquio con l'altro? In altre parole come evitare che la modifica del setting crei un irrigidimento a svantaggio della potenza emozionale del colloquio e quindi dell'apprendimento dell'altro?
Qui ci si limita a portare esperienze e riflessioni, senza la pretesa di essere esaustivi e definitivi in ordine ad un processo di cambiamento ancora in fase iniziale; l'obiettivo è promuovere una riflessione ed un confronto sulle nuove modalità di condurre il colloquio, che continua a rappresentare uno strumento essenziale, forse a tratti non sufficientemente pensato e valorizzato.
Inizierei da ciò che non si modifica con l'utilizzo degli strumenti digitali: che si svolga in presenza o da remoto, la posizione strategica del colloquio nella cassetta degli attrezzi dell'assistente sociale richiede di tenere sempre a mente le sue tecniche e la differenziazione a seconda degli obiettivi.
Nel testo di Kadushin (1) si distinguono tre tipi di colloquio in base agli obiettivi:
- informativo - volti allo scambio di dati ed informazioni;
- diagnostico - volti alla comprensione e ridefinizione dei bisogni;
- terapeutico- volti al cambiamento della situazione problematica.
Tale differenziazione si riconnette anche alla fase del processo d'aiuto che orienta gli obiettivi e quindi le azioni del professionista: nell'area tutela dei minori ad esempio, nel momento della preparazione del colloquio, domandarsi se ci si muove all'interno della fase di indagine o di valutazione delle competenze genitoriali o della valutazione della recuperabilità o ancora della costruzione del progetto, consente di definire e quindi comunicare gli obiettivi del colloquio (sulle fasi del processo d'aiuto cfr F. Merlini, assistente sociale, supervisore e docente dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano).
Se tali basi tecniche sono valide sia nei colloqui in presenza sia nei colloqui “a distanza”e costituiscono il fondamento tecnico della professione, con l'utilizzo degli strumenti da remoto si corre il rischio di percepire ed essere percepiti come distanti oltre che fisicamente separati.
La differenza tra separazione e distanza è descritta da Alessandro Bertirotti, docente di antropologia culturale e della mente presso l'Università degli Studi di Firenze, che in un'intervista televisiva sottolinea come la condizione dell'essere separati possa essere auspicata al fine di proteggersi ed evitare l'invasione del proprio spazio fisico e mentale; la condizione dell'essere distanti invece può essere temuta, poiché chi è distante spesso fatica a capire, ad essere empatico, a comprendere e quindi anche ad aiutare ed aiutarsi.
Per evitare che la separazione si traduca in distanza si ritiene indispensabile differenziare lo strumento a seconda della fase del processo d'aiuto e quindi degli obiettivi del colloquio: se per un colloquio informativo la semplice telefonata può essere sufficiente al raggiungimento dell'obiettivo - il contatto avviene per informare il cittadino di un bando, di un'opportunità, per chiedergli di produrre della documentazione o per verificare la sussistenza di determinati requisiti o ancora per convocarlo ad un colloquio di approfondimento...., utilizzare lo strumento della videochiamata diviene importante per le altre tipologie di colloquio, ove la possibilità di cogliere lo sguardo dell'altro, di analizzarne la mimica facciale, di mostrare prossimità contribuisce a ridurre la distanza. La possibilità di riconoscere l'importanza del linguaggio metaverbale e di governarlo ha anche a che fare con il ruolo delle emozioni: l'emozione influisce nel processo di apprendimento in quanto agisce come guida nella presa di decisioni e nella formulazione delle idee.
Se lo schermo crea necessariamente una separazione a volte vissuta come protettiva, altre volte generatrice di imbarazzo e di silenzi, come continuare allora ad alimentare a distanza un processo di cambiamento e di apprendimento?
L'apprendimento presuppone la modifica permanente di un comportamento; ma quello che rimane nella mente è frutto di un'emozione; si ricorda ciò che è caro perchè produce un'emozione.
Molti studiosi pongono l'accento sul ruolo delle emozioni nei successi dell'apprendimento, nell'interiorizzazione dei significati - si veda J. Piaget (2); H. Gardner (3); D. Goleman (4); S. Vygotskij(5) e B. Samuel Bloom (6).
Qui si sceglie di citare Semenovic Vygotskij (1896-1934), psicologo sovietico che in “Pensiero e Linguaggio” afferma: “Lo stesso pensiero ha origine non da un altro pensiero, ma dalla sfera delle motivazioni della nostra coscienza, che contiene le nostre passioni e i nostri bisogni, i nostri interessi e i nostri impulsi, i nostri atti e le nostre emozioni....”.
Massimiliano Cavallo, uno dei maggiori esperti di Public Speaking, offre dei consigli che, adeguati al contesto del lavoro sociale, possono offrire spunti preziosi per provare...