La valorizzazione del patrimonio immobiliare degli enti locali
La possibilità di “mitigare” la redditività del bene pubblico
La valorizzazione del patrimonio immobiliare degli enti locali
Il gettito extratributario delle entrate dell’ente pubblico
12 Aprile 2021
Il patrimonio immobiliare pubblico, come noto, è composto da beni appartenenti a tre principali categorie:
- beni demaniali (art. 822 del c.c., come lido del mare, spiagge, rade e porti, fiumi, torrenti, laghi e così via);
- beni del patrimonio indisponibile (art. 826 del c.c., come foreste, miniere, cave e torbiere, beni d’interesse storio e archeologico, edifici destinati a sedi di uffici pubblici, con i loro arredi e gli altri beni destinati a pubblico servizio e così via);
- beni del patrimonio disponibile (di essi non troviamo una definizione nel codice civile e vi rientrano tutti quei beni immobili che non sono ricompresi nelle due categorie sopra menzionate).
La riforma del titolo V della costituzione ha riconosciuto l’importanza del patrimonio immobiliare degli enti territoriali, esprimendosi, in particolare, con:
- l’art. 119, co. 7 della Costituzione stabilisce che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato”.
- il federalismo demaniale, disciplinato dal d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, il quale prevede il trasferimento agli enti territoriali (Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni) dei beni indicati in appositi elenchi. In particolare, è stato attribuito, a titolo non oneroso, ad ogni livello di governo, beni statali secondo criteri di territorialità, sussidiarietà, semplificazione, capacità finanziaria.
La Corte dei Conti per la Regione Veneto, con la deliberazione n. 716/2012, ha rammentato che, per capacità finanziaria si intende la capacità dell’ente territoriale al quale è trasferito il bene, di garantirne le esigenze di tutela, di gestione e di valorizzazione. Proprio con riferimento a questi beni statali così attribuiti, il legislatore ha specificato che l’ente dispone del bene nell’interesse della collettività, favorendone la “massima valorizzazione funzionale”.
La Sezione ha anche rammentato quanto previsto dall’art. 58 del decreto legge 25 giugno 2008, convertito dalla legge 3 agosto 2008, n. 133, che prescrive agli enti territoriali di procedere al riordino e valorizzazione del proprio patrimonio immobiliare attraverso l’adozione di appositi piani di alienazione immobiliare, che vanno allegati ai bilanci di previsione. Da queste premesse si deduce che le varie forme di gestione del patrimonio introdotte di recente dal legislatore sono tutte finalizzate alla valorizzazione economica delle dotazioni immobiliari dei vari enti territoriali, di volta in volta coinvolti, nel senso che le diverse forme di utilizzazione o destinazione dei beni in argomento devono mirare all’incremento del valore economico delle dotazioni stesse, onde trarne una maggiore redditività finale. Si tratta, infatti, di gestire dinamicamente partite del patrimonio immobiliare per potenziare le entrate di natura non tributaria.
L’ente, ai fini della possibilità di concedere la disponibilità di un bene appartenente al suo patrimonio, a delle condizioni diverse da quelle di mercato, in considerazione delle peculiari finalità sociali perseguite dal soggetto beneficiario (associazioni di interesse collettivo senza fini di lucro), deve tener conto, nell’ambito delle valutazioni da effettuare nell’esercizio della sua esclusiva discrezionalità, di una serie di principi che si espongono di seguito.
Innanzitutto, indipendentemente dallo strumento giuridico che verrà utilizzato per disporre del bene (provvedimento amministrativo se si tratta di bene demaniale o appartenente al patrimonio indisponibile; negozio di diritto privato se si tratta di bene patrimoniale disponibile), l’atto di disposizione dovrà comunque tener conto dell’obbligo di assicurare una gestione economica dei beni pubblici, in modo da aumentarne la produttività in termini di entrate finanziarie.
Quest’obbligo rappresenta infatti una delle forme di attuazione da parte delle pubbliche amministrazioni del principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.) del quale l’economicità della gestione amministrativa costituisce il più significativo corollario (art. 1, L 241/1990 e s.i.m.).
Ne consegue che, da un lato, l’azione amministrativa deve garantire livelli ottimali di soddisfazione dell’interesse pubblico generale attraverso l’impiego di risorse proporzionate; dall’altro, deve conseguire il massimo valore ottenibile dall’impiego delle risorse a disposizione.