IL DANNO ERARIALE DEL PUBBLICO DIPENDENTE DA MANCATO VERSAMENTO DI SOMMA ALLA PA DATORIALE AD ESTINZIONE DI DEBITO SORTO PER LEGGE
Commento alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 16 maggio 2022, n. 3804
IL DANNO ERARIALE DEL PUBBLICO DIPENDENTE DA MANCATO VERSAMENTO DI SOMMA ALLA PA DATORIALE AD ESTINZIONE DI DEBITO SORTO PER LEGGE
a cura di Riccardo Lasca
16 Giugno 2022
Chi si occupa di responsabilità amministrativa ‘per danno all’erario’ (cui è dedicata l’intera parte II del Codice di procedura contabile o D.Lgs. n. 174/2016, ma solo quanto alla procedura!) del pubblico dipendente (e non solo: vi è soggetto anche anche chi esercita pubbliche funzioni - cioè amministrative - pur non avendo lo status di pubblico dipendente in senso stretto e tecnico del termine) sa bene che i fatti o meglio i comportamenti generanti tale responsabilità, come il relativo elemento psicologico rilevante ai fini costitutivi della stessa, non stanno certo descritti nel citato codice ex D.Lgs. 174/2016 bensì in primis nella Costituzione repubblicana e poi esattamente nella L. n. 20/1994, come il codice di procedura civile non si occupa della disciplina dei diritti (rinvenibile nel codice civile o in altre leggi generali):
Oltre all’art. 28 della Costituzione (sub Titolo “I - RAPPORTI CIVILI”) - che mai viene così commentato v. infra immagine: solo un assaggio1 - secondo cui:che radica la diretta (immediata: anche se poi nei fatti il cittadino che agisce per il risarcimento dei danni cita in giudizio quasi sempre solo la PA) responsabilità dei FUNZIONARI (oggi Dirigenti) e dei (meri) DIPENDENTI (al di sotto del Dirigente: sotto il suo controllo?) che agiscono o a nome e per conto della PA o - per i secondi - comunque dentro la PA, devesi ricordare l’incipit (primi due periodi più ultimo periodo) dell’art. 1 della citata Legge sostanziale (non procedurale) relativamente recente del 1994 la n. 20:
“1. La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali (((della PA))). La prova del dolo richiede la dimostrazione della volonta' dell'evento dannoso. (…) Il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei (((soli))) casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi”
Questa responsabilità sovente viene fatta rientrare nel GENUS della responsabilità cd. amministrativo-contabile ma devesi ricordare con il chiarissimo Magistrato Dott. Vito Tenore2 che:
“Nell’ambito della responsabilità in esame, definita amministrativo-contabile, in realtà, sul piano terminologico e concettuale, va operata la fondamentale distinzione, sancita dagli artt. 81 e 82, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (c.d. legge di contabilità generale dello Stato), tra
responsabilità amministrativa (((in senso stretto e tecnico)))
e
responsabilità contabile (((in senso stretto e tecnico)))
dell'a-g-e-n-t-e p-u-b-b-l-i-c-o (((in entrambi i casi si ha un agente pubblico: nel secondo caso è un agente contabile))),
le quali, nonostante presentino alcune essenziali diversità, vengono sovente unitariamente unificate nella più ampia (e generica) nozione di responsabilità amministrativo-contabile.
La responsabilità contabile (((allora))) è quella particolare responsabilità patrimoniale in cui possono incorrere solo alcuni pubblici dipendenti, ovvero gli agenti contabili, qualifica ex lege spettante (art. 74, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, c.d. l. cont. gen. St.; art. 178, r.d. 23 maggio 1924, n. 827, reg. cont. gen. St.) ai soggetti che hanno il m-a-n-e-g-g-i-o di d-e-n-a-r-o o di altri valori dello Stato o la m-a-t-e-r-i-a-l-e d-i-s-p-o-n-i-b-i-l-i-t-à di b-e-n-i, e, segnatamente:
a) agli agenti della riscossione o esattori, incaricati di riscuotere le entrate;
b) agli agenti pagatori o tesorieri, incaricati della custodia del denaro e dell'esecuzione dei pagamenti;
c) agli agenti consegnatari, incaricati della conservazione di generi, oggetti e materie appartenenti alla p.a.”. (((gli altri agenti meramente amministrativi rispondono per mera ‘responsabilità amministrativa’: insomma per cattivo esercizio del potere amministrativo ma...non basta la mera illegalità dell’azione amministrativa: serve un danno e il PM erariale deve fornire gli elementi di prova dello stesso !!!)))
tanto per chiarire e fugare certe commistioni/ammucchiate terminologiche: i capoversi inseriti forzosamente dallo scrivente al testo come le chiose tra ((( ))) aiutano la memoria futura del bravo e formato dipendente pubblico.
Dunque, tornando a Noi: pensando/ipotizzando tra i “fatti” e le “omissioni” commessi dall’agens (((il chi fa, perche deve fare, ma sbagliando))) o dal negligens ((il chi non fa dovendo fare))) la mente va automaticamente sempre e solo a situazioni ‘normative’ che impongono al dipendente pubblico un DILIGENTE E TIPIZZATO FARE PUBBLICO cioè un AGIRE PUBBLICO CODIFICATO DESTINATO A SODDISFARE O UN INTERESSE LEGITTIMO DI CHI (SINGOLO) CHIEDE O DI UNA COLLETTIVITA’ AMMINISTRATA, che deve cioè essere servita e governata al meglio ai sensi di legge dal pubblico funzionario (Dirigente) e/o dipendente (il mero Responsabile del procedimento ex L. 241/1990 o anche il RUP ex D.Lgs. 50/2016), a seconda della ‘competenza’, insomma, senza dimenticare mai che per legge è il Dirigente che deve sempre assumersi la patermità dell’atto/provvedimento amministrativo con cui la PA parla/agisce (unica eccezione quella prevista dal comma 1bis dell’art. 17 del D.Lgs. 165/2001, una volta tramonontato il sogno della Vicedirigenza di cui all’abrogato art. 17bis sempre del D.Lgs. 165/2001: le OO.SS. non hanno gradito!).
Ma non sempre è così. E’ questo il caso - eccezionale? Forse, ma sicuramente ignorato anche da qualche Magistrato di TAR stando alla sentenza del Consiglio di Stato che qui si commenta! - dei commi 7 e 7 bis (il 7 bis è arrivato dopo, tanto per fare chiarezza, ma pare che chiarezza tra i magistrati del TAR ancora non c’è !) dell’art. 53 del D.Lgs. 165/2001, quello che prevede la preventiva necessaria autorizzazione della propria PA datoriale per svolgere legittimamente una attività extraistituzionale remunerata e percepire quindi legittimamente e trattenere (poi) un reddito aggiuntivo oltre lo stipendio mensile, derivante da tale attività (da incarichi cd. extra ufficio):
“7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.
7-bis. L'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilita' erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti.”
Allora, ci vuole molto a capire che:
1) a seguito della indubbia condotta illecita descritta dal comma 7 la PA diventa ex lege creditrice ‘civile’ della somma? Somma che ab origine non le appartiene: non fa parte del suo patrimonio, facendo parte del patromonio del terzo committente (l’incaricante) e poi magari dell’infedele dipendente pubblico percettore; attenzione la PA non versa nella situazione – pure frequente – di cui all’art. 2033 c.c.: indebito oggettivo, quella è un’altra storia cui dedicherò il successivo articolo, al presente?
2) che quindi può accadere che il dipendente indisciplinato (e per tale aspetto riceverà pure una sanzione disciplinare: aggiuntiva alla questione della sorte della somma a lui spettante per l’incarico svolto…ma senza autorizzazione) diventi così ex lege debitore della sua PA datoriale e quindi “ il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato” da lui, magari invitato per iscritto, ove non lo provveda sua sponte compreso l’errore in cui è caduto, dalla PA datoriale che deve sempre agire con il tatto del buon padre di famiglia nella gestione del rapporto di lavoro e…..può accadere che il dipendente avvisato o intimato instauri dinanzi al giudice comepente (AGO se dip. pubblico privatizzato / TAR se dip. pubblico non privatizzato, tipo il Professore universitario di cui alla sentenza in esame) un giudizio per opporsi e non versare alcuna somma?
3) che solo se c’è “omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore” insorge ex lege una “ipotesi di responsabilita' erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti.” che radica la competenza di questa Magistratura speciale?
Nessun problema a capire i tre punti di cui sopra: il problema era capire i rapporti, anche temporali, tra le due giurisdizioni, quella ordinaria del punto 2) ove il dipendente agisca in giudizio - ma anche la PA può agire ! - e quella speciale della Corte dei Conti indicata dall’aggiunto comma 7bis.
Ebbene il Consiglio di Stato con la sentenza di cui al titolo finalmente a chiarito, anche ai Magistrati del TAR (adìti dal Professore universitario intimato) che nulla avevano capito, quanto segue, che in effetti non era proprio agevolmente ricavabile dalla lettura dei due commi suddetti:
IN BREVE ESTRAENDO DALLA SENTENZA
“- il prof. OMISSIS ha impugnato con ricorso dinnanzi al Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, l’ingiunzione di pagamento in parola, deducendo l’intervenuta prescrizione della sanzione, l’insussistenza dei presupposti per la sua irrogazione (essendo stato il ricorrente autorizzato all’espletamento dell’incarico) e, in subordine, la necessità di ridurre la sanzione ad € 10.012,71, corrispondente al compenso effettivamente percepito;
- il Tar ha declinato la propria giurisdizione, ritenendo che sulla controversia vi fosse la cognizione (((ESCLUSIVA: EVIDENTEMENTE))) della Corte dei conti.
2. In particolare, alla luce di quanto emergente dalla sentenza gravata, il Tar ha rilevato che, ai sensi dell’art. 53, comma 7 – bis, d. lgs. n. 165 del 2001, inserito dall'art. 1, comma...