IL TETTO DEL TRATTAMENTO ECONOMICO DEI DIPENDENTI PUBBLICI
l’art. 13, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014
IL TETTO DEL TRATTAMENTO ECONOMICO DEI DIPENDENTI PUBBLICI
a cura di Arturo Bianco
25 Agosto 2025
E’ stato dichiarato costituzionalmente illegittimo il tetto del trattamento economico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, anche se è stato ritenuto che il legislatore nazionale può provvedere in questa direzione.
Deve essere ritenuto costituzionalmente illegittimo, a partire dalla data di pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale il tetto massimo del trattamento economico dei dipendenti delle PA attualmente in vigore, fermo restando che il legislatore nazionale può prevederne la disciplina, in particolare stabilendo il non superamento del compenso del primo presidente della Corte di Cassazione. E’ quanto ci dice la sentenza n. 135/2025. Oggetto del giudizio sono gli “artt. 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, e 13, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89, nella parte in cui, nel prevedere un tetto massimo alle retribuzioni dei dipendenti statali, includono in detta soglia anche gli emolumenti corrispondenti alle indennità di mandato elettorale spettanti ai componenti togati eletti negli organi di governo autonomo della magistratura ordinaria e in quelli delle magistrature speciali” e che “il limite massimo retributivo così imposto sia pari a 240.000,00 euro annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente”.
I PRINCIPI AFFERMATI
Leggiamo che “anche la disciplina relativa alla retribuzione dei magistrati non può allora essere sottratta a una valutazione che tenga conto delle proiezioni ordinamentali del principio costituzionale di indipendenza ricostruito nei termini anzidetti, dal momento che il profilo economico difficilmente potrebbe essere considerato avulso, sullo stesso piano normativo, da una congrua ed effettiva garanzia della posizione di indipendenza tout court”. Ed ancora, ci viene detto che “questa Corte, nell’escludere l’illegittimità costituzionale dell’estensione al personale di magistratura di misure generali di riduzione della spesa pubblica, ha tuttavia specificato che allorquando la gravità della situazione economica e la previsione del suo superamento non prima dell’arco di tempo considerato impongano un intervento sugli adeguamenti stipendiali, anche in un contesto di generale raffreddamento delle dinamiche retributive del pubblico impiego, tale intervento non potrebbe sospendere le garanzie stipendiali oltre il periodo reso necessario dalle esigenze di riequilibrio di bilancio. Tale regola, che impone una necessaria temporaneità di questo genere di misure ove estese alla magistratura, è condivisa, come chiarito, dal diritto dell’Unione e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia”. Ed ancora, “il tetto retributivo è stato introdotto nel 2011 in una situazione di instabilità finanziaria di eccezionale gravità, indotta da una allarmante crisi del debito sovrano italiano. Pertanto, tale misura, seppur derogatoria rispetto a molteplici precetti costituzionali, aveva una giustificazione solo se a carattere congiunturale e temporaneo, rispetto ad una situazione del tutto particolare. Un ulteriore e sopravvenuto profilo di criticità del limite massimo retributivo è rappresentato dall’introduzione di alcune norme che, per specifici soggetti, hanno derogato al carattere generale del tetto retributivo.. Introducendo disposizioni derogatorie, anziché procedere a una revisione complessiva del limite massimo retributivo, il legislatore non solo ha infranto la natura generalissima, ritenuta da questa Corte di importanza dirimente, del tetto retributivo, ma ne ha confermato...